PERCHÉ LA BENZINA BRUCIA?
La benzina, il liquido combustibile ad alta infiammabilità che voi tutti conoscete e che serve per il funzionamento dei motori a scoppio delle automobili, si ricava dalla distillazione del petrolio.
L'estrema infiammabilità che le è propria le deriva dalla composizione chimica che, comune a tutti gli idrocarburi che compongono il petrolio, è data dalla particolare combinazione di idrogeno e di carbonio.
Abbiamo già avuto occasione di parlare del carbonio come di una sostanza fondamentale per ogni tipo di combustione: unita poi all'idrogeno in tutti gli idrocarburi diventa di un'infiammabilità addirittura esplosiva.
Che cosa sono gli idrocarburi? Hanno essi una denominazione ed una forma definita?
Certamente. Per poterne parlare occorre entrare con un ideale microscopio nel fantastico miscuglio costituito dal petrolio grezzo.
Qui, in base alla loro struttura molecolare, riusciamo a distinguere idrocarburi noti e meno noti. Il più semplice di tutti è il metano, detto anche «gas delle paludi»: ha una molecola composta da un atomo di carbonio e quattro atomi di idrogeno. Quindi vediamo l'etano, il propano ed il butano rispettivamente con due, tre e quattro atomi di carbonio e sei, otto e dieci atomi di idrogeno.
Finora stanno a contatto con dei gas; da cinque atomi di carbonio in poi le cose cambiano e noi possiamo distinguere alla perfezione gli idrocarburi perché sono allo stato liquido. Tra essi c'è la benzina che mettiamo nel serbatoio della nostra automobile.
Fino a sedici atomi di carbonio siamo ancora immersi nei liquidi, liquidi che si fanno sempre più spessi ed oleosi.
Da sedici atomi di carbonio ai trenta cambia di nuovo il panorama e ci troviamo nel campo dei solidi, nelle cosiddette «cere di paraffina», simili a quelle usate per fabbricare candele.
È straordinario in quale varietà di combinazioni può avvenire l'incontro tra gli atomi di carbonio e quelli dell'idrogeno. Ad ognuna corrisponde un prodotto che ha le sue proprie caratteristiche e può essere sfruttato dall'uomo per particolari usi: i gas per l'illuminazione e per la cucina, i liquidi come carburanti per motori, i fluidi come olii lubrificanti ed olii combustibili... e così via.
PERCHÉ CERCHIAMO IL PETROLIO SOTTO TERRA?
Molte sono state le teorie enunciate intorno alla probabile origine del petrolio. La più accreditata ed attendibile è quella secondo cui il petrolio sia il risultato di una lenta trasformazione chimica, avvenuta lungo un arco di tempo che abbraccia milioni di anni, di ammassi enormi di sostanze vegetali e di resti animali che, insieme a sottilissimi sedimenti minerali, si sono depositati sul fondo dei laghi, di golfi e di mari e quindi sommersi da più strati di sedimenti. La ricerca del petrolio, dunque, viene indirizzata verso quelle zone la cui natura sabbiosa, calcarea o argillosa vale loro il nome di «bacini sedimentari».
Correggiamo subito un'idea errata abbastanza diffusa che vede un giacimento petrolifero come una specie di lago sotterraneo. Ciò comporterebbe la presenza nel sottosuolo di enormi cavità, il che oltre che essere eccezionale sarebbe anche pericoloso per eventuali frane. No. Come l'acqua imbeve una spugna così il petrolio imbeve la roccia sedimentaria, porosa e permeabile.
Una grossa spugna imbevuta di «oro nero» a parecchie centinaia di metri di profondità: ecco un giacimento!
Perché dobbiamo cercare il petrolio sotto terra? La risposta è semplice: perché i rari giacimenti superficiali, noti già ai Cinesi ed ai Fenici, sono stati completamente sfruttati e poiché la nostra civiltà di tutto potrebbe fare a meno ma non del petrolio e dei suoi derivati. Occorre scovare il petrolio anche se si trovasse al centro della Terra. Ma come fa l'uomo a scoprire un giacimento?
I geologi, studiando la natura e la struttura del terreno, riescono a prevedere la possibile ubicazione di un buon giacimento.
Dall'aereo si fotografa l'intera zona per risalire indietro nella sua storia geologica. Quindi si effettuano prelievi di roccia per vedere se essa contiene tracce di petrolio.
Dopo queste indagini preliminari, se i risultati lasciano bene sperare, entrano in scena i geofisici che devono determinare non più la struttura del suolo ma quella del sottosuolo, dei vari strati di sedimenti di cui è composto.
Fanno esplodere dinamite in profondità e, registrando le onde sismiche di ritorno, «leggono» sui sismografi informazioni riguardanti la natura, lo spessore e l'inclinazione dei vari strati.
Oppure utilizzano complesse apparecchiature elettriche che funzionano in base alla differente resistenza delle rocce all'elettricità.
Se anche dopo le indagini geofisiche i risultati sono ancora positivi e si continua a ritenere che «sotto» ci sia del petrolio, non c'è che un mezzo per sincerarsene: effettuare una perforazione. L'operazione viene effettuata da un utensile tagliente, azionato per mezzo di motori Diesel con movimento rotatorio, montato su di una torre metallica chiamata «derrick».
Il foro ha un diametro di parecchie decine di centimetri, almeno in superficie, e può essere lungo anche qualche chilometro.
L'asta che effettua la perforazione porta nell'estremità inferiore uno speciale strumento, lo «scalpello», simile al trapano di un dentista che, a seconda della natura delle rocce, è composto da lame o da mole.
All'asta cava nell'interno che perfora vengono aggiunte, man mano che si scende in profondità, altre aste cave e sia queste che il pozzo, per evitare che il materiale si scaldi per l'attrito e si deformi, vengono lubrificati con un gettito costante di un «fango» speciale, composto da argilla, tannino, amido e resine artificiali. Quando infine l'asta incontra il giacimento, il petrolio sottoposto a forti pressioni ad opera dei suoi stessi gas, è spinto in superficie e sgorga liberamente: viene allora raccolto ed inviato per mezzo di autocisterne, petroliere od oleodotti alle raffinerie.
Schema di una torre di perforazione
Estrazione del petrolio
PERCHÉ C'È UNA FIAMMA CHE ARDE SOPRA LE RAFFINERIE?
Una raffineria è un grande impianto industriale nel quale il petrolio viene sottoposto a numerose operazioni. Come il grezzo raggiunge una raffineria, viene messo in grandi serbatoi e quindi inizia la lavorazione.
Nel gigantesco laboratorio che è una raffineria il petrolio viene riscaldato, raffreddato, compresso, filtrato, sottoposto cioè ad una serie fantastica di trattamenti chimici tesi a separare ad uno ad uno tutti gli idrocarburi di cui è composto.
Il procedimento usato per questa separazione si chiama distillazione e si basa sul fatto che i vari idrocarburi bollono a temperature diverse.
Così, facendo bollire il grezzo, ad ognuna di queste temperature corrisponde l'evaporazione di un prodotto: raccolto il vapore e fattolo condensare si ottiene il prodotto finito.
Questo è il principio base secondo cui si effettua la distillazione del petrolio grezzo.
La lavorazione avviene in una speciale torre chiamata «torre di frazionamento», composta da vari recipienti messi l'uno sull'altro e in comunicazione tra loro.
Il petrolio, fatto bollire, entra nella torre di frazionamento sotto forma di vapore e, ad ogni piano della torre, si formano particolari vapori che, raccolti e condensati immediatamente, danno origine ai vari derivati quali le benzine, il cherosene, gli olii combustibili, il gasolio e così via dalla cima della torre fuoriescono i gas residui di scarto che vengono fatti bruciare per non inquinare l'atmosfera.
I prodotti ricavati dalla distillazione, infine, vengono raccolti in appositi recipienti, rotondi per i gas (metano, propano, etc.) e cilindrici per gli altri (benzine, olii etc.), dal caratteristico colore grigio-argento, in attesa di essere distribuiti al consumo.
Una raffineria di petrolio